La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con sentenza n. 15096/2011,
depositata il 13/4/11, ha confermato la decisione del Giudice
dell’udienza preliminare (GUP) del Tribunale di Massa che aveva
dichiarato non luogo a procedere a carico di un sanitario di turno della
guardia medica in ordine al reato di rifiuto di atti d’ufficio (art.
328 del codice penale), contestatogli per non essere prontamente
intervenuto, su richiesta di un parente, al fine di constatare il
decesso di un paziente.
Secondo il GUP, dalla registrazione della telefonata intercorsa tra il
sanitario e il figlio del paziente, emergeva credibilmente che il malato
era già deceduto nel momento in cui veniva richiesto l’intervento della
guardia medica e che, quindi,”non sussisteva un’assoluta urgenza di intervento”.
Il GUP riteneva che, comunque, non sussisteva l’elemento soggettivo del
reato ascritto al sanitario – l’indebito rifiuto – in quanto tutte le
circostanze obiettive del caso erano tali da indurre nel medico il
fondato convincimento che, stante l’intervenuto decesso, non vi era una
particolare urgenza di intervenire.
La Suprema Corte, nel confermare la decisione del GUP, ha sottolineato
che il figlio del paziente, rispondendo ad una precisa domanda del
medico di guardia, aveva confermato che il padre, gravemente malato di
Alzheimer, era deceduto da pochi minuti, tant’è che, nell’attesa
dell’arrivo del sanitario, egli avrebbe provveduto “a lavare e vestire il corpo del congiunto”.
È stata, quindi, ritenuta infondata la personale interpretazione dei
fatti posta alla base del ricorso in cassazione presentato dal figlio
del paziente deceduto, costituitosi parte civile nel processo penale, a
carico del quale sono state poste le spese processuali.
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