Riporto le dichiarazioni del dott. Menicanti in quanto a mio avviso riguardano tutti i medici
La
stragrande maggioranza dei cardiochirurghi è assicurata, anche se con
coperture molto differenti se lavorano in strutture pubbliche o private
accreditate. In ogni caso, al di là dell'eventuale obbligatorietà, è
sempre fortemente consigliata la stipula di una polizza assicurativa».
Ad affermarlo è Lorenzo Menicanti, presidente della Società
italiana di chirurgia cardiaca (Sicch). «Anche perché» prosegue
«esistono ospedali che non si assicurano e casi in cui la Corte dei
Conti si è rivale sull'ospedale che a sua volta si è rivale sul
professionista. Una situazione che genera notevole inquietudine». E
così, dopo gli scioperi dei ginecologi e degli ortopedici, anche i
chirurghi sono sul piede di guerra. Per Menicanti il rapido sviluppo dei
contenziosi medico-legali trae origine dalla legge Bersani 4 agosto
2006 n.248 (il "decreto sulle liberalizzazioni") che ha legalizzato i
"patti di quota lite" con cui i legali si fanno riconoscere una
percentuale in caso di vittoria. «A quel punto il paziente può
denunciare qualunque medico e, se perde la causa, non è tenuto ad alcun
risarcimento, mentre il medico ha possibilità di rivalsa solo dopo un
verdetto favorevole in terzo grado di giudizio. Negli Usa, invece, se il
paziente perde la causa deve pagare il professionista in modo
consistente. In altri paesi, come la Germania o l'Austria, chi denuncia
deve lasciare un deposito che sarà restituito in caso di vittoria
processuale, o incamerato dal denunciato in caso contrario». Senza
questi freni, si spiegano anche le 12.500 denunce registrate l'anno
scorso per malpractice, che fanno assurgere l'Italia - una delle nazioni
dall'età media più avanzata - a paese con maggior numero di contenziosi
per milione di abitanti. Ma quando si può affermare con certezza che un
chirurgo ha sbagliato? «Se è stata posta un'indicazione non appropriata
e se la procedura non è stata eseguita in modo corretto. Questa
valutazione però è complessa e richiederebbe una commissione di esperti,
mentre i consulenti dei tribunali spesso sono cultori della materia
senza conoscenze pratiche». Da notare, infine, che l'Italia è uno dei
soli 3 paesi al mondo (insieme a Polonia e Messico) a configurare un
decesso ospedaliero come omicidio colposo.
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