Vi posto questo interessante articolo sulla riforma del sistema sanitario inglese, perché sia un momento di riflessione sul futuro che vogliamo.
In Italia un approccio sperimentale che imita, in parte, negli intenti se non nel risultato, le strategie del NSH già c’è stato: i creg lombardi,istituzionalizzati nel contesto di un accordo integrativo regionale, l’esternalizzazione di vari servizi (emergenza, cure domiciliari) concordati direttamente dalle aziende con gli enti erogatori (cooperative, agenzie di servizi).
E devo dire che il cambiamento non mi piace.
Non mi piace come utente-paziente, in quanto la parcellizzazione del servizio ed il suo affidamento a soggetti terzi provoca una disomogeneità nelle cure erogate, creando diseguaglianze nella cittadinanza; è quanto abbiamo assistito,ad oggi, con il federalismo sanitario che, di fatto, ha creato 21 sistemi sanitari regionali diversi che viaggiano a 21 velocità diverse.
Tirando le somme possiamo dire che il federalismo regionale in sanità ha creato grossi disastri e ancora ne creerà.
Non mi piace come medico, in quanto preferisco rapportarmi , per quel che concerne la mia prestazione d’opera professionale, con un Sistema Sanitario che pur con tutte le sue limitazioni, le sue pecche, le sue falle, sia comunque Pubblico.
Pubblico inteso nel senso letterale del termine e cioè di pertinenza dello Stato.
Perché solo lo Stato può assicurare l’equità e l’accessibilità delle cure. Solo lo Stato, inteso come comunità di cittadini, può avere la salute come fine da perseguire e bene da preservare e i finanziamenti pubblici come mezzo per arrivare all’obbiettivo.
Ecco perché le cooperative di MMG non mi piacciono.
E non è che non mi piacciono in modo pregiudiziale e sono anche convinta che chi vi aderisce è convinto della bontà o della necessità di queste nuove forme di cooperazione che dovrebbero rispondere alla mutata domanda di salute (dovrebbero, il condizionale è d’obbligo)
Non mi piacciono perché sono il grimaldello che noi medici di medicina generale, di nostra spontanea volontà, stiamo fornendo alla politica per privatizzare l’intera struttura pubblica dimenticandoci spesso della nostra vocazione iniziale, che non era certo quella di essere imprenditori.
Non mi piacciono perché così facendo mettiamo a repentaglio il futuro dei nostri figli. Se noi , ai nostri tempi, potevamo almeno sperare in un incarico trimestrale nell’ambito delle cure primarie ( a termine ma pur sempre pubblico e che ci dava diritto ad un punteggio), per loro si profila un rapporto di lavoro privato?libero professionale? Precario?Sicuramente sottopagato.
E’ la mia profonda convinzione di voler essere, con orgoglio, un medico del SSN che mi spinge a continuare a dire di no ad esternalizzazioni, cooperative , progetti astrusi che mirano solo a farci raccattare qualche centesimo in più (a volte, ma non sempre) sulla nostra paga , ma che di fatto non portano ad un reale miglioramento della nostra vita professionale, né ad un reale vantaggio per i nostri pazienti.
Con piacere , nel corso dell’ultima direzione nazionale dello SMI,ho visto che i colleghi lì presenti hanno votato all’unanimità per intraprendere un’azione legale contro l’ARES 118 che ,nel Lazio, ha indetto un bando per appaltare l’intero servizio dell’emergenza(mezzi e uomini compresi). E la risposta di Zingaretti che di fatto ha bloccato l’appalto ci ha dato ragione. Anche se ciò per noi ha comportato la messa in campo di risorse ingenti.
Ecco, a volte bisogna guardare oltre. Oltre i confini dei nostri ambulatori, oltre le nostre incertezze, oltre le paure per il nostro futuro e non dimenticare mai quello che siamo: MEDICI.
Il Big Bang del NHS
Inserito
da Redazione
SI on
2 aprile 2013
Gavino
Maciocco
È
entrata in vigore la riforma che cambia radicalmente il volto
delNational Health Service inglese, un vero Big Bang per
il più noto, antico e imitato modello di sistema sanitario
universalistico. Cosa ne resterà di quel modello? Ben poco
sostengono i più.
Il
1 aprile è entrata formalmente in vigore la legge di riforma
approvata lo scorso anno (Health and Social Care Act 2012) e
tenacemente voluta dal governo guidato dal premier conservatore
Cameron, che la mise in cantiere immediatamente dopo aver vinto le
elezioni politiche nel 2010.
Una
riforma che cambia radicalmente il volto del National
Health Service (NHS),
un vero Big Bang per il più noto, antico e imitato modello di
sistema sanitario universalistico.
I principali contenuti politici della riforma sono i seguenti:
- L’intera infrastruttura sanitaria pubblica, dalle Strategic Health Authorities (le nostre Regioni) ai Primary Care Trusts (le nostre ASL), è stata abolita (a partire appunto dal 1 aprile).
- Se sul versante del finanziamento del sistema sanitario la responsabilità rimane (per ora…) a carico del settore pubblico e quindi della fiscalità generale, sul versante della produzione dei servizi curativi (territoriali e ospedalieri) si va verso una diffusa privatizzazione dei servizi sanitari, guidata da logiche di mercato molto spinte, con l’irruzione nel sistema di grosse e potenti compagnie multinazionali.
- I servizi preventivi, quei pochi che erano rimasti in capo al NHS (come il controllo delle malattie infettive e gli screening) vengono interamente trasferiti alle municipalità.
I Primary
Care Trusts (ripetiamo, le nostre ASL) sono
sostituiti da consorzi di General
Practitioners (GPs, i medici di
famiglia), denominati Clinical Commissioning
Groups (CCGs). I CCGs,
organizzazioni private a pieno titolo, rappresentano il vero perno
del sistema. Saranno complessivamente 211 in tutta l’Inghilterra e
saranno i destinatari di 65 miliardi di sterline di fondi pubblici
(quasi il 70% dei 95 miliardi di sterline dell’intero budget
sanitario nazionale).
“Tale
cambiamento”, si legge in un articolo di Lancet,
“mina uno dei meccanismi chiave attraverso cui il NHS riesce a
garantire un pieno ventaglio di servizi indipendentemente dal luogo
di residenza dell’assistito. I Primary Care Trusts sono
responsabili per l’intera popolazione in una definita area
geografica, non solo per i pazienti che sono iscritti in un
determinato servizio. Questa responsabilità basata sulla popolazione
consente una valutazione a lungo termine dei bisogni, la
pianificazione e la committenza dei servizi per rispondere a quei
bisogni, e la rendicontazione pubblica dell’uso delle risorse per
quella popolazione. La proposta del governo abbandona il principio
basato sulla popolazione; la committenza che sarà esercitata dai
futuri consorzi dei medici di famiglia riguarderà solo gli assistiti
iscritti con i medici di quel determinato consorzio all’interno di
confini geografici amorfi e indefiniti. Verrà così meno la
possibilità di programmare un’adeguata distribuzione geografica
dei servizi per le comunità e le popolazioni locali”.
Con
i fondi assegnati i CCGs finanzieranno le attività dei GPs e i
servizi che verranno offerti ai loro pazienti da parte dei vari
provider – pubblici e privati – a cui vengono commissionate le
prestazioni: dalle cure domiciliari, all’assistenza specialistica e
ospedaliera. Ciò ha
immediatamente sollevato la questione del loro potenziale conflitto
d’interessi: GPs prescrittori di prestazioni erogate da provider
privati, con possibili interessi a comune con GPs. “Metà dei
GPs nei CCGs hanno legami finanziari con i provider privati”,
sostiene il BMJ.
“Il fatto che i GPs abbiano interessi esterni può influenzare le
loro decisioni nella scelta dei provider e può mettere a rischio il
rapporto di fiducia con i loro pazienti, perché questi possono
diffidare del motivo per cui sono stati inviati per un determinato
trattamento”: così si esprime Clare Gerada, Presidente del Royal
College of GPs, che aggiunge: “Ciò inoltre può danneggiare anche
il NHS perché avere molti differenti provider può aumentare i costi
e frammentare l’assistenza, a tutto danno dei pazienti”.
Le
cose potrebbero ulteriormente complicarsi se –
come la legge prevede – i CCGs appaltassero l’attività di
committenza a agenzie private,
per le quali gli interessi commerciali nella scelta del
provider sarebbero ancora più evidenti.
Altro
elemento critico è la perdita del livello nazionale di definizione
dei livelli essenziali di assistenza, assegnato prima della riforma
al Ministero della salute, che stabiliva le prestazioni che le
strutture pubbliche erano tenute a tenute a garantire uniformemente
in tutto il territorio e anche i livelli di partecipazione alla
spesa, per alcune limitate categorie di prestazioni. Con la riforma
sarà ciascun CCG a stabilire quali prestazioni saranno garantite ai
pazienti e anche i livelli di partecipazione alla spesa.
Ad
aggravare la situazione ci sono anche i tagli apportati dal governo
Cameron al budget della sanità (meno 20 miliardi di sterline entro
il 2015) e ad altri settori del welfare, che si ripercuotono
negativamente sull’assistenza sanitaria.
Scrive sul Guardian Simon Atkins, medico di famiglia: “Un crescente
numero di persone affolla i nostri ambulatori a causa delle politiche
del governo. Questo infatti ha tagliato in maniera spropositata
i servizi per i poveri, gli anziani e i disabili e ogni giorno vedo
persone che sono in grande difficoltà a causa di ciò. Ad esempio, a
causa dei tagli, è stato chiuso nel nostro quartiere un Centro
Diurno che dava supporto e possibilità di compagnia a tante
persone”.
Ciò
che sta succedendo – sostiene Lucy Reynold della London
School of Hygiene and Tropical Medicine –
è un vero mutamento genetico del NHS,
anche se il governo cerca di minimizzare la portata del cambiamento
sostenendo che non ci sarà differenza tra servizi erogati da
provider pubblici e privati. In realtà “nel settore pubblico
i medici cercano di avere finanziamenti adeguati per rispondere in
maniera adeguata ai bisogni dei loro pazienti. L’obiettivo è la
cura e i soldi sono un mezzo per raggiungerlo. Quando invece ti trovi
nel settore privato – afferma la Reynold – la compagnia si pone
l’obiettivo di fare soldi, la priorità è quella di
distribuire i dividendi ai soci”. Reynold prevede che la
competizione tra provider pubblici e privati, tutta basata sui
prezzi, alla fine sarà vinta da quest’ultimi, con conseguenze
irreversibili. “E ogni volta che il settore privato riuscirà a
sottrarre un contratto al settore pubblico, ciò provocherà la
scomparsa di quel servizio perché verranno meno le risorse per
pagare i salari dei dipendenti”
Che
la riforma rappresenti l’inizio della fine del NHS è anche
opinione di David Hunter, professore di politica sanitaria
all’Università di Durham,
il cui punto di vista è così riassunto: “quando la sanità
è dominata dal mercato dobbiamo aspettarci: a) una riduzione
della qualità delle cure; b) un aumento dei costi; c) il
trasferimento di finanziamenti pubblici in profitti privati; d)
la riduzione della libertà di scelta; e) la perdita di
controllo democratico e di public
accountability nel
campo dell’assistenza sanitaria”