mercoledì 17 ottobre 2012

Certificati "a posteriori"? Proprio no.

Da Univadis:
Di Mauro Marin

La redazione di un certificato di malattia riportante le sole dichiarazioni dell’assistito a giustificazione dell’assenza dal lavoro, senza il presupposto essenziale di una visita medica accertante la diagnosi posta, non certifica nulla e rappresenta unachiara violazione all’art.24 delcodice deontologico che invece obbliga il medico ad una diligente compilazione del certificato attestante di per sé dati clinici constatati e documentati, secondo la Cassazione sezione civile terza consentenza n.3705 del 9 marzo 2012.
Dunque non è lecito dare parvenza di certificato medico di malattia alla semplice attestazione delle dichiarazioni dell’assistito, riferite al suo stato di indisposizione nei giorni precedenti in cui il medico non lo aveva visitato e quindi non aveva potuto constatare direttamente uno stato di malattia. In questo caso si tratta di una certificazione medica a posteriori fondata solo sulle dichiarazioni dell’assistito, senza il presupposto di una qualsiasi attività medica di accertamento richiesta invece dall’art.24 del codice deontologico.
Questi certificati proprio perché provengono da un medico e su un modulo di certificato di malattia si prestano ad ingenerare il dubbio che l’assenza sia giustificata da unamalattia realmente accertata, fatto non corrispondente al vero configurante l’ipotesi di falso ideologico.
Tra questo certificati vietati rientrano, ad esempio, anche i certificati di riammissione a scuola di studenti che il medico non ha visitato durante la loro assenza per indisposizione temporanea, solo riferita ma non accertata.
Peraltro il medico non è più tenuto a rilasciare per studenti minori i certificati di riammissione a scuola per assenze fino a sei giorni (art.42 del DPR n.1518 del 1967; art.2 della L.R. n.21/2005 del FVG), giustificabili invece con una richiesta della scuola ai genitori di un’autocertificazione. Riguardo ai regolamenti di istituto scolastico ancora richiedenti certificati medici per queste assenze, si rileva che l’art.4 del codice civile afferma : i regolamenti non possono contenere norme contrarie a disposizioni di legge e pertanto devono essere modificati. Fa eccezione il caso di malattie infettive e diffusive pericolose per la salute pubblica per le quali il medico è tenuto anchealla notifica della malattia all’ASL ai sensi del D.M. Sanità del 15.12.1990.
La legge riconosce solo in casi specifici la validità di certificati anamnestici, cioè che si fondano sulle informazioni direttamente acquisite e valutate dal medico senza l’effettuazione della visita fisica del paziente, quali ad esempio i certificati anamnestici per l’idoneità al porto d’armi (DM 28.4.1998 in GU n. 143 del 22.6.1998).
Questi sono riconosciuti validi sebbene fondati sull’anamnesi, cioè senza il presupposto della visita fisica, ma comunque richiedono un’attività del medico ricognitiva della storia del paziente e dei suoi precedenti di malattia direttamente constatati o derivanti da altra documentazione sanitaria visionata.
La certificazione medica per sua natura è soggetta a verifica in quanto può creare diritti in capo al richiedente. Il medico dimostra la sua buona fede nel certificato di malattia quando formula una diagnosi sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo o di eventualilettere di dimissione ospedaliera odesiti di consulti specialistici e riporta una prognosi congrua alla diagnosi e la effettiva data di redazione (la retrodatazione è reato).
Non sussiste il reato di falso ideologico (art. 481 cp) quando il medico certifica in buona fede una “sindrome non obiettivabile” sulla base dell’anamnesi fornita con inganno dal paziente al fine del rilascio del certificato di malattia, secondo la sentenza n. 5923 del 20 giugno 1994 della Cassazione sez. 2° , pubblicata in Riv. It. Med. Leg. 1995, 255. In questo caso risponderà eventualmente il paziente per le false dichiarazioni.
Il reato di falso ideologico (artt. 480-481 cp) si configura quando il giudizio diagnostico espresso nel certificato medico si fonda su fatti esplicitamente dichiarati o implicitamente contenuti nel giudizio stesso che siano non corrispondenti al vero e che ciò sia conosciuto da colui che ne fa attestazione, secondo la sentenza n. 11482 del 24.5.1977 della Cassazione Penale sezione VI e n. 149762/1992 della Cass. Pen. sez. V.
Riguardo alla distinzione tra diagnosi falsa ed diagnosi sbagliata nel certificato medico, la Corte di Cassazione sez. Penale V con sentenza del 18 marzo 1999 ha affermato : è falsa la certificazione che si basa su premesse oggettive non corrispondenti al vero (fare diagnosi lasciando intendere intenzionalmente di averla accertata mediante visita), mentre invece è errata (quindi senza dolo) se nella certificazione risulta inattendibile l’interpretazione data per motivare il giudizio clinico basato su presupposti reali cioè una visita realmente effettuata. La legge penale richiede infatti che sia dimostrata l’intenzionalità della condotta illecita per accertare il reato, non essendo prevista dalla legge la figura del falso documentale colposo, come ha precisato la sentenza della Cassazione Penale sezione V del 31 gennaio1992 in merito alla sussistenza del dolo.

Morale: niente certificati "a posteriori" se tenete al posteriore...